RIFLESSIONI AD ALTA VOCE. VIOLENZA DI GENERE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS.
Roma, 5 aprile 2020
VIOLENZA DI GENERE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS.
É di pochi giorni fa la notizia dell’ennesimo femminicidio. In queste giornate di quarantena forzata le mura domestiche, luogo per eccellenza di sicurezza e serenità, per molte donne divengono prigioni che amplificano e fanno precipitare la violenza. Lorena Quaranta, una studentessa di Medicina, è stata strangolata a casa, a Furci Siculo, in provincia di Messina, dal suo convivente. Non serve dire che è stato dopo una furiosa lite; non è una scusante, non ammortizza le motivazioni del fatto in sé. Non serve neanche dire che lei aveva tanti sogni, primo fra tutti essere medico e curare le persone. Perché purtroppo il nome e l’immagine di Lorena Quaranta con il viso coperto da mascherina e in camice, in corsia, che stiamo vedendo sui social, va ad ingrossare le fila di tante giovani e meno giovani, donne e ragazze e anche bambine assassinate da familiari, mariti, fidanzati, ex. Non rende più o meno grave il crimine del suo assassino, il livello culturale e sociale – era un collega, leggiamo. Rimane solo lo scarno fatto in sé. É stata uccisa un’altra donna. Mentre tutti siamo concentrati giustamente sull’emergenza sanitaria, ce n’è un’altra, silenziosa, che serpeggia nelle case e che non si ferma davanti a nulla, ma anzi è nutrita dalle restrizioni di movimento, dalla difficoltà di denunciare avendo un uomo violento nella stessa stanza, dalla convivenza forzata. I femminicidi non sono crimini di classe. Sono trasversali e non badano a differenze di ceto sociale. Le istituzioni stanno continuando a lavorare per garantire assistenza, ascolto e intervento ma purtroppo ogni giorno continuiamo a leggere queste notizie. Un’emergenza che non si ferma e che è difficile fronteggiare proprio perché nascosta, non manifesta, che si nutre del privato e di cui i centri antiviolenza e le associazioni che si occupano di contrasto alla violenza hanno purtroppo chiara percezione ogni giorno. Dobbiamo garantire l’aiuto e anche l’applicazione delle pene: Michel Foucault, riflettendo sul passaggio storico dalla spettacolarizzazione delle pene in pubblico alla certezza della pena, eseguita all’interno delle prigioni e non nelle piazze, diceva che è proprio la certezza della pena il cardine che funge da freno alla violenza e alla sua reiterazione. Ecco, applicando questa riflessione ai crimini contro le donne, il nostro impegno deve essere duplice: garantire l’ascolto e l’applicazione delle leggi. Ma soprattutto, promuovere una profonda riflessione sul corpo delle donne, ancora oggi percepito da troppi uomini come oggetto di possesso, sul quale decidere e del quale usufruire a piacere, con potere di vita e di morte. Pochi giorni fa alcune associazioni che si definiscono Pro vita hanno chiesto di sospendere le Interruzioni Volontarie di Gravidanza in tutti gli ospedali italiani, paragonando le morti per Covid-19 agli aborti e sostenendo che le IVG sotttraggono risorse alla lotta contro il Coronavirus. Un bieco modo di sfruttare l’emergenza sanitaria per assestare un fendente alla libertà di scelta e all’autodeterminazione delle donne, sulla scia delle proposte di altre associazioni in Ohio e Texas. Noi non arretriamo di un millimetro nell’affermare la nostra libertà di decidere di noi stesse, sia essa quella di lasciare un uomo violento o quella di non portare avanti una gravidanza non voluta. La violenza sulle donne ha molte facce, può essere quella di un collega aspirante medico come di un familiare. Come la faccia di chi, con cortesia e gentilezza, ti fa sentire sbagliata, ti colpevolizza, ti induce sensi di colpa per scelte difficili ma alle volte dovute. Il volto di chi stampa in 3d feti di plastica per colpevolizzare le donne che scelgono di abortire. Noi non arretriamo. Siamo le une vicine alle altre, come donne, come politiche, come istituzioni e lotteremo sempre per garantire i diritti di tutte le donne ad autodeterminare se stesse e a disporre del proprio corpo.
Sabrina Alfonsi