Roma, 12 maggio 1977. Una ragazza cade colpita da un proiettile al centro di un incrocio, mentre scappa verso Trastevere. Dall’altra parte, sul ponte Garibaldi, sono attestate le forze dell’ordine. Lei si accascia. La soccorrono. Non c’è sangue né bossoli. Fermano un’auto. La portano in ospedale. Il medico del pronto soccorso constata la morte. Giorgiana Masi fu uccisa da un proiettile blindato sparato da notevole distanza che la trapassò da parte a parte alle 8 di sera. Alla fine di una giornata di violenze scaturite da una manifestazione pacifica del Partito radicale.
Era col fidanzato. Voleva andare a firmare in piazza Navona per i referendum radicali nel primo pomeriggio e poi godersi la giornata di sole. Trovò la zona militarizzata e ogni accesso vietato.
Poi capita alla fine di ponte Garibaldi, verso piazza Belli e Trastevere, nel momento in cui polizia e carabinieri hanno appena smantellato una barricata e stanno ingaggiando una lotta con i manifestanti, attestati verso Trastevere. Un giovane carabiniere è stato raggiunto di striscio da un colpo di arma da fuoco. Due giovani, Francesco Lacanale e Elena Ascione, vengono colpiti più o meno nello stesso tempo in cui viene ferita mortalmente Giorgiana.
Vari testimoni dichiarano che gli spari arrivano dalla parte delle forze dell’ordine. Eppure le armi in dotazione ai reparti non hanno sparato, sarà dichiarato dai dirigenti e accertato come verità giudiziaria.
Chi sparò a Giorgiana? Chi ne troncò la giovane vita? Oggi avrebbe 59 anni, sarebbe mamma e forse nonna. Come si spiegano le varie testimonianze che dicono che personaggi in borghese, tra polizia e carabinieri, imbracciano armi e che dalla parte delle forze dell’ordine si spara? Domande rimaste senza risposta.